La Fata Carabina

Chiariamolo dall’inizio, se non si è letto Il Paradiso degli orchi questo libro è un frullatore che gira a tutta velocità.
Si tratta, infatti, della seconda puntata della saga di Malaussène e probabilmente anche la più surreale di tutte, come lasciano intendere le pagine con cui ci si tuffa nel romanzo: un piede sulle strisce pedonali e uno ancora sul marciapiede, e in una gelida mattina parigina un’insospettabile vecchietta fa fuori il poliziotto Vanini, impugnando una carabina calibro 38.
Come se questo non bastasse a gettare il panico a Belleville, le indagini portano a galla un brutto giro di droga in cui sono coinvolti gli anziani, bersagli prediletti del killer che li uccide a colpi di rasoio.

Chi, se non i commissari Cercaire e Rabdomant, potrebbe risolvere il mistero? E chi, meglio di Julie, narrerebbe ai giornali tutto ciò? Penna-graffiante munita, la leonina grande-amore-di-Malaussène, tra un reportage e l’altro affida un anziano ad ogni membro de la famille, affinché ognuno di loro tenga a bada le dipendenze degli arzilli vecchietti. E Benjamin? È il sospettato numero uno, come si addice ad un capro espiatorio “fino al midollo” (cit. Regina Zabo).
Eppure il colpo di scena, in questo giallo ben ordito, è dietro l’angolo: in un attimo gli assassini diventano vittime, gli insospettabili finiscono tra i sospettati, e addirittura il lieto fine sfuma nel rosa. Leggendo La fata carabina, come per ogni “senso” che sfugge, ciò che conta è non fermarsi in superficie e tirare le somme solo all’ultima riga. Caso letterario o poliziesco che sia.  

Piacerà a voi se: amate i ritmi serrati delle indagini, gli interrogatori e i colpi di scena polizieschi contaminati dalla profonda leggerezza di Pennac. 
Piace a me perché: il lavoro linguistico e stilistico dello scrittore in questo romanzo è notevole poiché Pennac crea un sottomondo ed un registro “criminale” da far invidia ai migliori giallisti. Inoltre, in questa storia i buoni sono buoni davvero e anche i cattivi, a modo loro, sperano nel lieto fine. 

Capitolo I, riga 1
“Era inverno a Belleville e c’erano cinque personaggi. Sei, contando la lastra di ghiaccio. Sette, anzi, con il cane che aveva accompagnato il Piccolo dal panettiere. Un cane epilettico, con la lingua che gli penzolava da un lato. La lastra di ghiaccio somigliava a una cartina dell’Africa e copriva l’intera superficie dell’incrocio che la vecchia signora si accingeva ad attraversare. Sì, sulla lastra di ghiaccio c’era una donna molto vecchia, in piedi, malferma sulle gambe, che trascinava con millimetrica prudenza una pantofola davanti all’altra.”

(Prima edizione Gallimard, 1987; edito in Italia da Feltrinelli in varie ristampe. Copertina dell’edizione Feltrinelli in Universale Economica)