Signor Malaussene

Molti, attratti dal titolo, avranno probabilmente scelto questo libro per avvicinarsi al ciclo della famiglia Malaussène, e alla scena della crocifissione hanno creduto di sicuro.
Si tratta, invece, del quarto capitolo della vicenda familiare di Benjamin e del resto della banda e, a parer mio, anche uno dei più ingarbugliati tra quelli scritti da Pennac. Perché se è dal caos che nasce una stella danzante (cit.), in questa storia intricata ciò è doppiamente vero, dato che dopo mille dolori e peripezie viene alla luce Lui, il Signor Malaussène del titolo, figlio della “giornalista del reale” Julie e del capro espiatorio di professione Benjamin.

La narrazione procede attraverso le paure e le ansie del capofamiglia, in prigione per plurimo omicidio e futuro papà avvezzo al soliloquio, stavolta all’indirizzo del pancione di Julie: “e tu, stronzetto, pensi proprio che sia il mondo, l’epoca, la famiglia giusta in cui atterrare?”
Al centro della vicenda, un giro di prostituzione sul quale indaga il Commissario Rabdomant, preziosi tatuaggi asportati direttamente dalla pelle delle meretrici redente e l’eroico cinema Zèbre a rischio chiusura, dove si riunisce la famille ad onorare la resistenza a cucchiaiate di cous cous. E non mancano colpi di pistola, ufficiali giudiziari, una vergine perpetua, una suora incinta… perché di mistero, intrigo e colpi di scena è pieno il libro. Anche le digressioni filosofiche e narrative proliferano, con riflessioni varie che allungano almeno di una cinquantina di pagine una trama sfidante di per sé.
Pare, infatti, che in questo quarto capitolo Pennac abbia tentato di infilarci tutto l’animo umano, ma proprio tutto. Tra la fame di risposte ad enigmi antichi e le romantiche invettive al sorprendente sense of humour del Gran Paranoico, è un po’ come se il nostro autore, oh povero illuso, pensasse di chiudere qui la questione Malaussène.

In più, ciliegina sulla torta almeno per me, questo è il racconto dell’amore dolce ed incondizionato di un padre verso un figlio che non conosce ancora, fil rouge del romanzo che si intreccia con la paura totalizzante della genitorialità. Quindi, ditemelo voi, che cos’è Signor Malaussène? Un poliziesco? Un giallo…? O un trattatello di filosofia, un manuale di autoaiuto? Un romanzo di formazione, un racconto corale… o una pièce teatrale?
A voi scoprirlo, amici della tribù, perché io non lo voglio capire! 

Piacerà a voi se: avrete già fatto conoscenza con la famiglia Malaussène nei tre libri precedenti. Vi sentirete affezionati ad ogni singolo personaggio e quando nascerà il piccolo di casa sarà come emozionarsi per un nipotino acquisito. Evviva!
Piace a me perché: si può piangere e ridere di qualsiasi cosa, e Pennac qui ne dà dimostrazione. E poi “[…] Sento già il sibilo delle frecce e vedo i pittori piazzare il loro cavalletto…” risuona di tanto in tanto nelle mie orecchie, come una delle più belle scene comiche partorite da Pennac.  

 

Capitolo I, riga 1
Il bambino era inchiodato alla porta come un uccello del malaugurio. I suoi occhi plenilunio erano quelli di una civetta.
Loro erano sette e salivano le scale quattro a quattro. Naturalmente ignoravano che questa volta gli avevano inchiodato un moccioso alla porta. Pensavano di aver già visto tutto e quindi correvano verso la sorpresa. Ancora due piani e un piccoli Gesù di sei o sette anni avrebbe sbarrato loro la strada. Un bimbo-dio inchiodato vivo a una porta. Chi può immaginare una cosa simile?

(Prima edizione Gallimard, 1995; edito in Italia da Feltrinelli in varie ristampe. Copertina dell’edizione Feltrinelli in Universale Economica)